Aggiunto al carrello

Nessun prodotto

COLLEZIONE PRIMAVERA ESTATE 24

MONUMENT TO HERSELF

 

Lo stile di Ilenia Durazzi per DURAZZI MILANO fluisce in un continuum situato all’intersezione tra varie forme di espressione creativa e un’eleganza rigorosa, tra la riflessione sulla condizione femminile e il desiderio di riconnettersi a paesaggi naturali vagheggiati, astratti ma così vividi da apparire distopicamente seducenti.

Un metodo di lavoro che resta fedele alle proprie ossessioni – il fascino dei cavalli, la sartoria disciplinata, l’architettura razionalista, l’arte contemporanea, una moderazione deliberata, l’empowerment delle donne anche grazie alla moda – e procede per evoluzioni e non rivoluzioni, nella convinzione che eliminare il superfluo possa elevare il significato di ciò che rimane. Per la collezione primavera estate 2024, «si parte come sempre da un’indagine sulla materia, uno dei fondamenti dell’identità del mio marchio.

Ogni stagione, io e i miei artigiani realizziamo creazioni connotate da un forte legame con la tradizione e con dettagli che istituiscono un aspetto contemporaneo». Questa volta il dialogo con l’oggi prevede una performance in una delle più note gallerie d’arte contemporanea di Milano, a esaltare in modo ordinato («per me, al mare, l’orizzonte rappresenta già una geometria») il potere palpitante di una memoria che vivifica il passato e lo trasforma in presente appassionato. Un’esperienza sinestetica per rendere concreto ciò che è immateriale.

Un esperimento polisensoriale per porre lo spirito selvaggio di una natura incontaminata in un contenitore disambientato e decontestualizzato, come riprodotta in un laboratorio scientifico: allegoria di quel patrimonio emotivo che ognuno di noi ricrea nel suo io più profondo dove si accumulano ricordi, memorie, dispositivi sentimentali.

Udito e olfatto sono i primi sensi a essere stimolati, una volta entrati: suoni robotici provengono da casse con cavi che sembrano radici, ricostruzione di inquietanti vegetali “in vitro” mentre nell’aria è diffusa un’essenza che riproduce le note olfattive di una foresta dov’è appena passata una mandria di cavalli liberi e selvaggi.

Le tracce dei loro zoccoli sono impresse su dieci agglomerati alti e irregolari di argilla fresca, su cui modelle-performer salgono come su basamenti imperfetti che sembrano addensati a mano, come un’opera di Land Art trasferita negli spazi interni chiusi e neutri di un contesto urbano.

Si trasformano così in statue viventi, monumenti organici ed effimeri – omaggio ad artisti come Piero Manzoni e Joseph Beuys –, vere e proprie testimoni di una moda che architetta strutture per il corpo per proteggerlo, esaltarlo. Indossano abiti dal design nitido, dove la suggestione delle rigorose uniformi dei marinai tratteggiano una silhouette sicura e potente che abbraccia la precisione del minimalismo e il sobrio incanto della divisa. Ma ognuna di loro è diversa, a incarnare la possibilità del vestire come dichiarazione d’identità.

Rappresentano sia la forza, la determinazione e la compostezza di tutte coloro che hanno sfidato le convenzioni sociali per imbarcarsi in avventurosi viaggi, sia una critica alla mancanza di soggetti femminili nella statuaria, invitandoci perciò a riflettere sull’urgenza di ampliare la narrazione della Storia riguardo protagoniste di eventi fondamentali, eppure mai celebrate: artiste, scienziate, politiche, intellettuali, eroine che hanno osato sfidare lo status quo, ridefinire i ruoli di genere e illuminare il potere dell’autoespressione. Salite sugli instabili piedistalli, si compie la metamorfosi delle performer: ognuna di loro pronuncia, alla stregua di propositi o desideri personali, frasi, massime, aforismi, monologhi di donne illustri, reali o immaginarie: dalle artiste Laurie Anderson, Ana Mendieta e Georgia O’Keeffe alla poetessa e attivista Maya Angelou – prima donna afroamericana a scrivere un bestseller di saggistica – fino a Marion, l’angelica protagonista di Il cielo sopra Berlino che nel film di Wim Wenders è interpretata da Solveig Dommartin.

L’ispirazione risale ai 999 nomi femminili inscritti in oro nell’Heritage Floor alla base di The Dinner Party, lavoro realizzato dall’artista Judy Chicago negli anni Settanta, un imponente banchetto cerimoniale per 39 donne che hanno contribuito all’evoluzione della Storia.

La palette dei colori è debitrice a quella terrestre e ctonia del progetto Siluetas di Ana Mendieta, che tra il ’73 e l’80, si immerse letteralmente dentro paesaggi agresti, marini o rupestri, lasciando tracce fuggitive e potenti dell’iscrizione del suo corpo trasformato nel tempo da elementi come fuoco e acqua: sfumature che conoscono le infinite e multisemantiche gradazioni del blu, del rosso, del bianco, del nero.

La pelle ormai fa parte del lessico base di DURAZZI MILANO, pur essendo un linguaggio in continuo divenire. Indizi di come la memoria possa essere incastonata in un discorso di moda: l’astrazione dei fazzoletti un tempo ricamati con frasi d’amore da madri e fidanzate per donarli soldati di mare: una volta replicati, inventano geometrie danzanti di balze per abiti e gonne.

Forme primarie – il triangolo, il rettangolo, il quadrato – giocano alla trasformazione: ingigantite per abiti effusi nell’ampiezza, si miniaturizzano per mercuriali mantelline da togliere e mettere, ispirate ad autentici raincoat e parka da equitazione, realizzati in tessuto tecnico bonded bicolore e waterproof.

Focus sul suit al femminile: la giacca sartoriale conosce il leggiadro twist degli spacchi frontali, mentre i pantaloni over con maxi piega laterale citano uno smoking da giorno in fresco di lana così lieve da sembrare una garza.

Il motivo delle pieghe bloccate da bottoni in metallo cuciti a mano è infatti il leitmotiv che abbraccia forma, funzione, passione. C’è spazio per lo sbaglio studiato che trasforma la consuetudine in nuovo segno, l’errore che diventa scarto dalla norma, la non standardizzazione che prevede un lato ludico.

Esempio: l’ibridazione tra stivali e sandali, tra ballerine e ghette per calzature che flirtano con un’estetica raffinatamente fetish, esaltata anche dai pantaloni in vernice Tejus con motivi in rilievo. Gli accessori danno ulteriore rotondità alla varietà di espressioni femminili.

Oltre ai modelli della Cavalry Bag, la Swing Bag e la Besace in cui la chiusura-logo rappresenta sia un dettaglio di una briglia, sia il profilo di una “D” in orizzontale, si profila una nuova borsa ispirata alle nasse dei pescatori, che dall’essere completamente piatta ha uno sviluppo in verticale grazie alla costruzione di cerchi concentrici.

Con logo D-RING anche i nuovi marsupi che intervengono con un tocco chic sui pezzi tailored sia in versione levigata, sia sommersi da densi décor di nappe e intrecci di pelle.

L’intervento sui tessuti – ritagliati con fori di diversa circonferenza – si riannoda all’astrazione del pizzo ma anche al manto di un animale: l’animalier cut out è un altro segno distintivo di DURAZZI MILANO, così come le gonne-kilt asimmetriche Sella. Nella concezione della vita come Gesamtkunstwerk – opera d’arte totale – ha spazio anche la dimensione tattile di tessuti corposi come il canvas, materie versatili e performanti, il jersey tecnico, la pelle, anche in mischia tra loro.

Altre fibre, come la rafia jacquard, uniscono lavorazioni classiche a un punto di vista futuribile.

Forza, grazia e creatività convergono per ridefinire lo stile come manifesto visivo di empowerment nelle mini sormontate da giacche-biker, nelle stampe di elementi della terra che riproducono le impronte sull’argilla.

Sono oggetti guidati da un’ingegneria gentile e accanita, pensati per rispondere a un design puntuale ma anche a plurali espressioni di essere, nella convinzione che la moda ha la capacità di incoraggiare dialoghi su potere, sessualità, genere e persino identità culturale, geografica, sentimentale.

SUBSCRIBE TO OUR NEWSLETTER